Memoriale dalmata


Memoriale Dalmata

Nato da un’idea di Padre Luigi Moro, rettore del Santuario di Monte Grisa che aveva potuto meglio conoscere e valutare la grande funzione storica rivestita dalla Chiesa apostolica di Dalmazia in occasione del Primo Giubileo dell’Esule del 2016 proposto e fortemente voluto dalla Congregazione di San Girolamo dei Discendenti delle Famiglie nobili e patrizie e degli Uomini di Dalmazia, ha immediatamente coinvolto me e l’Intera Fondazione.
È stata incaricata l’archeologa dott. Daria Garbin, segretaria della Fondazione, di selezionare tra i tanti Santi, Martiri, Beati nonché tra monumenti e simboli della spiritualìta religiosa e secolare dalmata quelli più significativi, presentati e benedetti dall’Arcivescovo dì Trieste mons. Giampaolo Crepaidi il 22 maggio 2016.
Sono rimasti esposti al pubblico per sei mesi, al fine da raccogliere consigli e proposte di tutta la comunità dalmatica triestina, italiana e dei residenti in Dalmazia.
È stata, quindi, incaricata la Domus Art, azienda veneziana specializzata nella realizzazione del progetto definitivo, uniformato allo stile architettonico del Santuario.
 
Nel centenario dell’apparizione della Beata Vergine a Fatima,
Trieste, lì 13 maggio 2017
 
Il Presidente della
“Fondazione scientifico culturale Eugenio Dario e Maria Rustia Traine”
On. Renzo de’ Vidovich
di Capocesto e Rogosnizza


Chiesa apostolica di Dalmazia

La Chiesa cristiana in Dalmazia è stata fondata al tempo degli Apostoli e per loro opera. Nel 34 d.C. sbarca in Dalmazia San Giacomo, figlio di Zebedeo e fratello di San Giovanni Evangelista. In quell’occasione consacra Andronico vescovo di Sirmium, capitale dell’Illyricum pannonicum al confine con la Dalmazia romana.
Secondo la tradizione, nel 4 d.C. approda in Dalmazia San Pietro, principe degli Apostoli. Nel 52 d.C. a causa di una burrasca anche San Paolo sbarca in Dalmazia, nell’isolotto di Lacroma di fronte all’odierna Ragusa e nel 65 d.C., come afferma nella Lettera ai Romani (15,19), riferisce di aver “riempito tutte le terre con il Vangelo di Cristo, da Gerusalemme fino all’Illirico”. San Girolamo, nella lettera a Marcello, ricorda un’omelia di San Paolo rivolta ai Dalmati e tenuta nelle vicinanze del fiume Titius (Cherca), dove si era fermato nel viaggio per l’Italia. Oggi sul luogo sorge il convento francescano di Sant’Arcangelo, situato suillsolotto chiamato Visovaz, a ridosso delle cascate del fiume. Nel 78 d.C. arriva a Salona San Clemente e vengono consacrati vescovi Caiano e Sinfroniano, entrambi nati a Salona. La prima rudimentale organizzazione strutturata della Chiesa cristiana in Dalmazia con sede a Salona risale a San Tito, discepolo prediletto di San Paolo, come risulta dalla Lettera di San Paolo a Timoteo (4,10). Da Salona dal 55 al 61 d.C. San Tito compie numerosi viaggi episcopali nell’interno della Dalmazia romana, che arrivava fino ai fiumi Drina e Sava. Per la sua instancabile e feconda attività nella diffusione del cristianesimo, gli viene attribuito il titolo di “Apostolo della Dalmazia“. A Tito succede Erminio, altro importante discepolo di San Paolo, attivo dal 62 al 68. Per la sua attività, Erminio è chiamato dalla Chiesa ortodossa dalmata “luce più luminosa di tutta la Dalmazia”. Secondo lo scrittore Epifanio, anche l’apostolo San Luca avrebbe soggiornato in Dalmazia, senza aggiungere altre notizie sul periodo e sui luoghi di permanenza.

Per maggiori notizie sui Santi e sulla Chiesa dalmata si veda il libro ‘Dalmazia nazione” edito dalla Fondazione Rustia Traine nel 2012. Il Memoriale dalmata è stato edificato con il contributo della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. Legge regionale 11 agosto 2014, n. 16. art. 27, comma 4.


San Caio
Primo papa della Nazione dalmata (283-296)

San Caio

Nasce nel III secolo a Salona (capitale della Dalmazia romana situata solo a sei chilometri dal luogo dove sorgerà il palazzo di Diocleziano che ancor’oggi costituisce il cuore di Spalato) in una famosa famiglia patrizia: il padre Massimino è senatore, console e cugino degli Augusti Diocleziano (poi diventato Imperatore) e Massimiano. È contemporaneo di San Doimo, allora Vescovo di Salona.
La sua parentela con Diocleziano forse spiega il fatto che, durante il suo pontificato, l’Imperatore è più tollerante con i cristiani. Ma, quando Caio accoglie nella Chiesa di Cristo la cugina Susanna non riesce a sottrarla al martirio avvenuto l’11 agosto 294 nella sua casa in Roma, contigua a quella di Caio. Le due case, duos domus, diventano chiese dedicate a Santa Susanna e San Caio.
Si sposta in molte città d’Italia e – secondo quanto riferito da Cathopedia – è anche vescovo di Milano.
Il 17 dicembre 283 sale al soglio di Pietro e regna fino al 22 aprile 296, anno della sua morte.
Combatte il Manicheismo che sostiene l’esistenza di un dio del bene e di un dio del male ed assorbe alcune dottrine dei seguaci di Zoroastro, nonché il culto di Mitra, una divinità militare importata dall’Oriente dai legionari romani fin dal I secolo, con la compiacenza di alcuni imperatori.
Provvede alla definitiva strutturazione dei sei Ordini inferiori da percorrere prima che i sacerdoti conseguano il Carisma vescovile.
Sepolto nelle Catacombe di San Callisto a Roma, nella sua tomba è rinvenuto, unitamente all’epitaffio originale, l’anello con il quale sigillava le sue lettere.
Nel 1886 le sue Reliquie sono traslate nella Cappella della famiglia Barberini dove tutt’oggi riposano.
Nella Chiesa cattolica la sua memoria liturgica ricorre il 22 aprile, nella Chiesa ortodossa greca il 18 dicembre.


Giovanni IV
Secondo papa della Nazione dalmata (640-642)

Giovanni IV

Eletto pontefice nell’agosto dall’a.D. 640 è consacrato il 24 dicembre successivo.
Teologo di fama e intransigente difensore della Dottrina della Chiesa cattolica apostolica romana, bolla nel Sinodo del gennaio 641 come eretici i Monoteliti, seguaci di una dottrina promossa dal patriarca di Costantinopoli e Imperatore bizantino sulla natura esclusivamente divina di Cristo. Ammonisce gli ecclesiastici irlandesi a non celebrare più la Pasqua lo stesso giorno di quella ebraica, attenendosi all’uso romano e li richiama all’obbligo di abbandonare alcune posizioni vicine al Pelagianesimo, dottrina già condannata dalla Chiesa e da Sant’Agostino da oltre due secoli perché riduceva l’importanza del peccato originale e dell’opera salvifica del battesimo e della grazia divina. Dopo la caduta di Salona ad opera degli Avari e degli Slavi, invia l’abate Martino in Dalmazia per riscattare le reliquie dei Santi salonitani e i molti cristiani ridotti in schiavitù.
Nel Liber pontificalis del VII secolo si legge che il Pontefice Giovanni “appartenendo alla Nazione Dalmata, durante il suo regno inviò molto denaro in tutta la Dalmazia e l’Istria, per mezzo del santissimo e fedelissimo abate Martino, per il riscatto dei prigionieri che erano stati catturati dai pagani, e fece costruire a Roma una chiesa ai martiri Venanzio, Anastasio, Mauro e moltissimi altri, le cui reliquie aveva comandato fossero fatte venire dalla Dalmazia e dall’Istria e riposte in quella chiesa, vicino al Battistero lateranense, nei pressi dell’oratorio del beato Giovanni evangelista”. Ha decorato con un magnifico mosaico ed ha arricchito con molti oggetti preziosi la cappella a san Venanzio, uno dei primi vescovi di Salona il cui nome portava anche suo padre, che esercitò l’alta funzione di scholasticus nell’Esarcato di Ravenna.
Sotto il mosaico è scolpita l’iscrizione in latino: “Papa Giovanni, con la benedizione divina ha compiuto il pio voto e con tenace impegno ha fatto erigere questo monumento che brilla come i metalli preziosi del Battistero.
Chiunque vi accede e si inchina davanti al Cristo, innalzi preghiere ferventi verso il cielo”.
Durante il suo pontificato Giovanni IV ha ordinato diciotto vescovi, diciotto presbiteri e cinque diaconi. Muore il 12 ottobre 642 ed è sepolto in San Pietro in Vaticano.


San Girolamo da Stridone
Patrono di Dalmazia e traduttore delle Sacre Scritture

San Girolamo da Stridone

Sofronio Eusebio Girolamo, nasce intorno al 347 a Stridone, cittadina della Dalmazia romana. È considerato il più importante dottore della Chiesa in quanto traduttore in latino della Bibbia, oggi chiamata Vulgata, del Padre Nostro, della Santa Messa e delle altre preghiere e Sacre Scritture che costituiscono ancor oggi i testi ufficiali sui quali si basa la dottrina della Chiesa Cattolica Romana e spesso di quella Ortodossa.
A Roma riceve il battesimo all’età di 20-25 anni e dopo vari soggiorni a Treviri e Aquileia, si reca in Oriente dove apprende il greco ed a 38 anni è ordinato sacerdote. Trascorre tre anni nel deserto di Calcide in Siria e si dedica allo studio delle Sacre Scritture. Convocato da papa Damaso I per una revisione sistematica delle Sacre Scritture, fa ritorno a Roma e diviene segretario del papa. Alla morte di papa Damaso I, è fortemente criticato per l’eccessivo ascetismo. Con pochi discepoli fa ritorno in Oriente e fonda alcuni conventi maschili e femminili. Girolamo compie una vera e propria rivoluzione dei rapporti tra la romanità e la cristianità e, nonostante sia ancora vivo l’eco delle persecuzioni diocleziane, opera una mirabile sintesi tra la cultura classica greco-romana e quella cristiana.
Di lui si tramanda anche un ricco epistolario, la storia della vita di tre monaci eremiti, i Commenti all’Antico e al Nuovo Testamento, alcuni testi di polemica religiosa, come i tre libri dell’Apologia aversus libros Rufini e il Contra Iohannem Hierosolymitanum episcopum, nel quale critica il vescovo Origene che ammetteva la possibilità della reincarnazione delle anime, l’Adversus Iovinianum, sull’ascetismo e la verginità, l’Adversus Vigilantium, sul culto dei martiri, il Dialogus ad versus Pelagianos, in tre libri, contro l’eresia di Pelagio, il Chronicon, il De viris illustribus, ispirato a Svetonio, rivisita l’Historia ecclesiastica di Eusebio e numerose altre traduzioni dal greco di autori cristiani e riporta ben 135 biografie di autori cristiani, da San Pietro allo stesso Girolamo.
Vive in uno dei conventi fondati in Oriente fino alla morte avvenuta nel settembre del 420. Le sue reliquie riposano nell’urna di porfido sull’altare papale di S. Maria Maggiore in Roma.


San Doimo
Vescovo di Salona, evangelizzatore della Dalmazia romana

San Doimo

Nasce in Siria, ad Antiochia (oggi Ankara in Turchia) da padre siriano, Teodosio e madre greca Migdonia, apprende la lingua latina e la teologia alla celebre università cristiana della sua città natale. Presta servizio quale predicatore e diffusore di fede in Siria e poi si dedica all’attività missionaria. Intorno al 280 si stabilisce nella fiorente Salona dove trova una comunità siriana e greca e il primo esiguo nucleo dei cristiani riuniti intorno a San Venanzio, martirizzato nel 257 a Delminium. È consacrato vescovo nel 284 ed è considerato l’organizzatore della Chiesa salonitana diffusa in tutta la Dalmazia romana che comprendeva gli odierni stati di Croazia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina e parte della Serbia. Il suo episcopato coincide con il regno di Diocleziano che il 10 aprile 304 si trova proprio dove procedono i lavori di costruzione sul suo palazzo quando – su ordine impartito da Marco Aurelio Giunio Provveditore di Dalmazia – Doimo ed altri 8 cristiani vengono pubblicamente martirizzati nell’anfiteatro salonitano. Il suo corpo è sepolto nel cimitero oggi denominato Manastirne e un frammento della lastra della tomba è custodito nel Museo archeologico di Spalato. La sua basilica cimiteriale è andata distrutta, unitamente alla città di Salona, per mano degli Avari e degli Slavi prima del 640. Le reliquie del santo in parte sono portate dalla popolazione nel palazzo di Diocleziano, dove il vescovo di Spalato Giovanni di Ravenna inviato da Roma nel 640, “ripulisce il Mausoleo di Diocleziano dai vecchi dei” (tra i quali anche il sarcofago imperiale di porfido) e vi seppellisce i resti di Sant’Anastasio e San Doimo, oggi Duomo di Spalato a lui consacrato. Il resto delle reliquie rimaste nel cimitero salonitano è traslato a Roma tra iI 640 e 642 per opera dell’abate Martino inviato dal papa dalmata Giovanni IV e giacciono nella cappella di San Venanzio in Laterano, ornata da un mosaico che raffigura tutti i Santi ivi custoditi. È venerato a Traù, Castel Abbadessa, all’isola di Pasmano, a Ragusa, Segna, Scagliari nelle Bocche di Cattaro ed alle isole Termiti. La Chiesa salonitana di Spalato è chiamata anche Chiesa apostolica di Dalmazia e il suo Arcivescovo nel X secolo ottiene il titolo di Metropolita e Primate di Dalmazia e Croazia.


San Leopoldo
Confessore e Testimone del Giubileo 2016

San Leopoldo

La famiglia Mandic è originaria da Zakučac nei pressi di Almissa. Addeodato, anche Bogdan nasce il 12 maggio 1866 a Castelnovo di Cattaro, cittadina del Regno di Dalmazia, facente parte dell’Impero asburgico ed attualmente parte della Dalmazia montenegrina con il nome di Herceg Novi. Il suo primo e decisivo contatto con il mondo religioso ha luogo in un ospizio della sua cittadina, fondato dai Cappuccini della Provincia veneta. A 16 anni è tra gli studenti nel Seminario Serafico di Udine e, due anni dopo, a Bassano del Grappa entra nell’ordine dei Cappuccini con il nome di Leopoldo. Prende i voti a Venezia nel 1909, e passa quasi tutta la vita, con alcuni brevi intervalli, a Padova come confessore. Sogna di essere utile al popolo e di riconciliare la Chiesa cattolica con la Chiesa ortodossa. Per un difetto di pronuncia non può esercitare l’attività di predicatore ed è destinato al servizio delle anime, come ministro della conciliazione. Tenta più volte di tornare nel “suo Oriente” per portarvi la pace tra chiese e anime (a Zara e a Capodistria). Nel 1923 è in missione nell’altra sponda dell’Adriatico: a Fiume è confessore anche dei cattolici di lingua slava. Il vescovo di Padova fa presente ai Cappuccini che la partenza di padre Leopoldo ha destato in tutta la città un senso di amarezza e di vero sconcerto. I padovani riescono a far rientrare il piccolo confessore, è alto appena 1,40 m, che dopo anni di umile servizio lascerà detto “Il mio Oriente è qui, è Padova”. Offrire tutto se stesso, preghiere, sofferenze e vita al servizio alle anime che chiedono il suo ministero. In ognuna di queste infatti riconosce il “suo Oriente.” Nonostante svolgesse la pacata funzione di confessore, san Leopoldo è di indole bellicosa e decisa, capace d’infiammarsi e di abbandonarsi a scatti aspri ed inattesi, come il compatriota san Girolamo, e, come lui, chiede al Signore: “Abbi pietà di me che sono dalmata!“. Muore il 30 luglio 1942. È elevato agli altari il 16 ottobre 1983 da papa Giovanni Paolo II e riposa nel Santuario a lui dedicato al centro di Padova. In occasione del Giubileo della Misericordia del 2016, papa Francesco lo proclama insieme a Padre Pio di Pietrelcina testimone dell’Anno giubilare ed il suo corpo è temporaneamente traslato in Vaticano.


CROCE PROCESSIONALE: dono della Regyr Elisabetta d’Angiò al Convento francescano di Zara

CROCE PROCESSIONALE: dono della Regyr Elisabetta d'Angiò al Convento francescano di Zara

Datata intorno al 1370, unica nel suo genere, è una raffinata opera d’arte orafa medievale d’inestimabile valore artistico e documentaristico. Nel centro fronte della Croce e raffigurata la Crocifissione, sul retro l’Imago Pietatis ed ai lati i Santi protettori di Zara. Con San Luigi è raffigurata una donna arante inginocchiata davanti al Santo, insolitamente priva di velo sui cappelli e di insegne regali. Si resume comunque essere la Regina d’Ungheria Elisabetta raffigurata in attegiamento analogo nell’Arca i San Simeone. Le raffigurazioni sono incorniciate da file di perline picchettate e dorate.
E stata commissionata, insieme all’Arca di San Simeone, dalla regina Elisabetta d’Angiò, moglie di Luigi I d’Ungheria, all’orafo Francesco da Milano ed è stata collocata nel Convento di San Francesco, voluto dal Santo durante la visita di Francesco a Zara del 1212.
Nella Sagrestia del Convento è s:ata firmata il 18 febbraio 1358 la Pace di Zara, tra il Re ungherese Luigi I d’Angiò e la delegazione della Serenissima, con la quale il Doge rinunciava alla Dalmazia e veniva riconosciuta la Repubblica di Ragusa. Il nuovo assetto dell’Adriatico durerà poco più di cinquantanni, fino al 9 luglio 1409, quando il Re Ladislao d’Angiò cederà definitivamente la Dalmazia a Venezia.
La Croce è stata trafugata 1974 dal Convento francescano ed è
riapparsa nell’asta d’arte bandita dalla Casa Sothersby a Londra, dove è stata acquistata in buona fede da Amedeo Lia,per una somma ingente, ignorando che fosse parte del bottino di un furto.
La Croce si trova a La Spezia dal 1996 presso il Museo civico intestato ad Amedeo Lia e tuttora pende una causa sull’appartenenza del prezioso manufatto orafo.


San Girolamo: perdonami, Signore PERCHÉ sono Dalmata!

San Girolamo: perdonami, Signore PERCHÉ sono Dalmata!

Dunque, essere dalmata un peccato di cui pentirsi e chiedere perdono a Dio? Speriamo proprio di no e ci affidiamo alle più note interpretazioni di questa famosa invocazione, che sono molteplici. Innanzitutto, va precisato che San Girolamo nasce a Stridone, nella Dalmazia romana, che si estendeva allora fino a pochi chilometri dalle rive del Danubio, continuava a Ovest fino al fiume Arsa (la costa istriana orientale con Fianona e Albona era dalmata).
A nord la Dalmazia romana era delineata dai fiumi Drina e Sava e confinava con la Panonia ed all’est con la Moesia. Stridone era situata nella Dalmazia romana nei pressi, secondo alcuni studiosi, di Vidovici, poco distante da Tenin (Knin), attualmente in Bosnia Erzegovina, mentre secondo gli altri sarebbe situata più al nord nei pressi della Panonia Savia.
L’interpretazione dell’invocazione di Girolamo più accettata riguarda il carattere duro, aspro e irremovibile che porta spesso il Santo ad essere intollerante e severissimo con i confratelli che commettono errori anche banali e perfino con Sant’Agostino, contestato senza riguardi, anche per divergenze di non grande rilevanza. Anche san Leopoldo invoca il temperamento dalmata a giustificazione delle proprie intemperanze. Di qui la spiegazione della giustificazione avanzata dal Santo di essere dalmata, perché ancor oggi questo popolo considera il fatto di essere intransigente, testardo ed inflessibile come una caratteristica di cui andar fiero, perfino quando si spinge ben oltre alta positiva tenacia con la difende la sua Fede ed i suoi Principi, per arroccarsi su posizioni poco ragionevoli e non condivisibili.
Per il popolo minuto, poi l’invocazione del Santo va intesa ancor nel senso che Iddio dovrebbe perdonare i Dalmati che perseverano anche negli errori, perché sono dalmati: se sono fatti così, non sarebbe colpa loro!
Tesi questa, che citiamo perché largamente diffusa e condivisa anche priva di alcuna giustificazione logica.


I bronzi dello stemma dei Dalmati in esilio e della Porta Terraferma di Zara

Stemma dei Dalmati in esilio

Ricavati dai calchi conservati presso la Fondazione Rustia Traine, sono stati fusi in bronzo e rappresentano lo stemma di Dalmazia, nell’interpretazione degli esuli dalmati di Fertilia (Sardegna). I tre leopardi non mostrano beffardamente la lingua, come negli stemmi tradizionali del Regno di Dalmazia, ma appaiono tristi e piangenti perché costretti anch’essi all’esilio insieme all’80% degli abitanti della Zara italiana, guidati dall’Arcivescovo di Zara mons. Pietro Doimo Munzani, la cui effigie in bronzo domina l’Altare di Zara da lui voluto è situato in zona prospiciente il Memoriale. Anche le lingue a penzoloni dei leopardi sembrano aver sete di giustizia.
 
Porta Terraferma di ZaraUn simbolo tradizionale di Zara è rappresentato dalla Porta Terraferma che immette nella città, ideata ed edificata insieme al bastione Pontone da Michele Sanmicheli. Questo grande architetto, autore di numerose ed importanti ope-re militari e civili aveva studiato a Roma nella bottega del Bramante ed aveva operato inizialmente in Vaticano. Entrato al servizio della Serenissima, che lo aveva nominato suo ingegnere ed architetto principale, ha ultimato la costruzione della Porta nel 1543. L’imponente opera è considerata uno dei principali capolavori dell’architettura rinascimentale di Zara e dei territori circostanti. Il Leone di San Marco che sovrasta la Porta Terraferma è attribuito ai cugini e collaboratori Ciangirolamo e Paolo Sanmicheli, quest’ultimo autore del disegno del Leone, uno dei più belli della vasta schiera dei leoni marciani disseminati in tutti i territori della Serenissima.
 
I due bronzi sono stati donati dalla Delegazione di Trieste del Libero Comune di Zara in Esilio – Associazione dei Dalmati italiani nel Mondo.


Leone di San Marco in Istria e Dalmazia dall’A.D. 1000 e l’Atto di Dedizione di Zara a Venezia del 1409

Atto di Dedizione di Zara a Venezia del 1409

Il 9 maggio dell’anno 1000, giorno dell’Assunzione in cielo di Maria Vergine, in Veneto Sensa, parte da Venezia una formidabile flotta militare al comando del Doge Pietro II Orseolo, chiamato in Istria e Dalmazia dalle città di tradizione illirico-romana (che parlavano il dalmatico, idioma molto simile alla lingua veneta finirà per sostituirlo), per liberare le città latine della sponda orientale dell’Adriatico dalle vessazioni di numerosi gruppi di pirati spalleggiati dalle popolazioni dell’interno ed in certi periodi anche dagli ungheresi e dall’Impero.
Il Doge riceve l’omaggio delle città istriane che si affacciano sul mare e da quelle dalmate dall’isola di Veglia fino a Ragusa, che rimarrà però indipendente. Imponenti le manifestazioni di gioia del popolo di Ossero, Veglia, Arbe, Zara, Zaravecchia, Isola Lunga, le Incoronate, Traù, Spalato, Vergada e Ragusa.
Dopo sanguinosi scontri armati con diverse congreghe di pirati narentani e poi uscocchi e con gli ungheresi della dinastia degli Angiò, che regna in quel tempo anche su gran parte dell’Italia meridionale del Re di Napoli, la Serenissima Repubblica di Venezia vince le truppe ungheresi ed il Re d’Ungheria Ladislao firma un trattato nella sagrestia della Chiesa di San Silvestro di Venezia il 9 luglio 1409, con il quale gli Angiò cedono tutti i loro diritti sulla Dalmazia, lasciando però sullo scudo reale angioino il blasone della Dalmazia con le tre teste di leopardo su fondo azzurro.
Il 31 luglio 1409 con la Santa intrada, le insegne di San Marco fanno ingresso solenne nel Duomo di Zara ed il successivo 5 settembre la città di Zara, capitale della Dalmazia, sottoscrive l’Atto di Dedizione alla Serenissima.


Arazzo di Ottavio Missoni e calchi di Giorgio Orsini

Le opere artistiche non prettamente religiose fanno parte della tradizione cattolica universale e in Dalmazia assumono un’importanza notevole, come dimostrato dal fatto che perfino nelle chiese più sperdute vi sono opere di artisti famosi e locali di soggetto profano che testimoniano la presenza di Dio nella bellezza che gli artisti sanno scoprire e portare alla comprensione di tutti.
 
Arazzo di Ottavio MissoniL’arazzo dello stilista di fama mondiale Ottavio Missoni, nato a Ragusa nel 1921, noto anche per le sue imprese olimpioniche e sportive, è stato scelto per la Dalmazia attuale e per gli esuli dalmati italiani che l’artista ha rappresentato per vent’anni (1986-2006) in qualità di Sindaco dei Dalmati italiani. L’arazzo è stato donato da Paolo Sardos Albertini, Sindaco del Libero Comune di Zara in Esilio – Associazione dei Dalmati italiani nel Mondo.
 
Calchi di Giorgio OrsiniGli 8 calchi delle 74 teste che impreziosiscono l’abside esterno del Duomo di Sebenico, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, costruito da Giorgio Orsini detto Georgius dalmaticus sono state scelte per rappresentare l’arte profana del XV secolo. Non sono stati tramandati i nomi dei personaggi istoriati, ad eccezione della Bella Giulia, il cui viso è posto in posizione che le consente di guardare la casa paterna edificata qualche secolo prima. Giorgio Orsini rifece il progetto e vi lavorò dal 1441 scolpendo di persona le numerose statue, colonne e interni in marmo di Brazza, Curzola ed Arbe e progettò anche la cupola che venne ultimata da Niccolò Fiorentino, dopo quella di Filippo Brunelleschi a Firenze e prima di quella di Michelangelo Buonarroti di San Pietro in Vaticano.